Una nuova Odissea. Le donne afghane non sono sole

Isa Maggi

Il tempo che stiamo vivendo in un post Covid che ancora ci attanaglia si fa ancora più scuro dopo il 15 agosto.

Cosa dovremo ancora imparare? Abbiamo realmente capito che solo la pratica della Cura è fondamentale per la vita?

E’ necessario avere cura di sé, degli altri, delle altre, delle Istituzioni, della Madre Terra.

È arrivato il tempo che la politica si ripensi daccapo per diventare una politica della cura.

L’Afghanistan e le urla disperate delle madri che lanciano i propri figli al di là del filo spinato, ci sta insegnando questo.

Cosa è successo il 15 agosto 2021.

L’essenza del discorso di Joe Biden alla sua nazione è stato chiaro, “ce ne siamo andati perché quella era una missione di contro terrorismo non di nation-building e gli obiettivi che ci eravamo prefissi nella lotta al terrorismo erano stati tutti raggiunti. Restare non aveva più senso”. In queste parole c’è il senso del disastro afghano e del fallimento del modello occidentale.

E cosi il 15 agosto 2021, la bandiera talebana è stata nuovamente issata sull’Università di Kabul. La riconquista del Paese da parte degli islamisti è diventata realtà, sotto gli occhi increduli del mondo. Le persone fuggono verso gli aeroporti o tentano di varcare le frontiere con qualsiasi mezzo in una nuova Odissea e il Paese sembra destinato a ripiombare in un nuovo medioevo, si prevedono migliaia di profughi in arrivo in Europa.

L’immagine del Mullah che si toglie gli occhiali da vista, durante una ripresa televisiva, è emblematica della nuova versione dei Talebani 4.0 che hanno imparato le regole della comunicazione e che promettono di fornire «serenità» alla nazione e di occuparsi dei bisogni della gente. “Noi forniremo i servizi alla nostra nazione, daremo serenità alla nazione intera e faremo del nostro meglio per migliorare la vita delle persone. Il modo in cui siamo arrivati era inatteso e abbiamo raggiunto questa posizione che non ci aspettavamo”. Ma  Mahbouba Seraj, una delle attiviste più note in Afghanistan racconta: «Sono angosciata ma non dimentichiamoci che queste donne oggi sono lasciate sole da coloro che dicevano di volerle liberare»,

Chi pagherà il prezzo più alto saranno le minoranze e, ancora una volta, le donne.

Si parla già di cancellazione dei pochi diritti acquisiti in venti anni di presenza Usa nel Paese, così come del ripristino del burqa e della rimozione delle donne dai pochi posti pubblici che occupavano.

Per spiegare la situazione attuale nel paese bisogna tornare molto indietro nel tempo.

Ghani era un tecnocrate che ha studiato in Occidente e in Libano e che ha lavorato per tanti anni nelle grandi organizzazioni internazionali. Il suo governo era democratico ma molto corrotto e i diritti delle minoranze non erano garantiti, perché il governo rappresentava soprattutto il gruppo dei pashtun. Si sapeva che nel governo e nelle istituzioni c’era corruzione e che l’esercito non sarebbe stato in grado di difendere il Paese.

I talebani sono anche loro pashtun ma non hanno buoni rapporti con le altre etnie e minoranze, hanno buoni rapporti con il Pakistan e stanno aprendo canali diplomatici mandando le loro rappresentanze in Russia, in Cina e in Iran, e prima ancora avevano firmato gli accordi di Doha, con l’ex presidente Trump. Stanno chiedendo una Conferenza Internazionale per creare rapporti di alleanza.

La vita delle donne in Afghanistan è in pericolo e c’è il rischio che le poche conquiste di questi ultimi 20 anni si dissolvano e che si torni indietro dal punto di vista delle conquiste sociali

I talebani faranno di tutto per imporre la loro visione. Quando sono riusciti a conquistare Herat, per prima cosa hanno emanato un’amnistia generale, garantendo che nulla sarebbe cambiato sul piano civile e sociale, ma hanno impedito alle ragazze di entrare all’Università.

La condizione delle donne nel Paese è pessima: nelle zone rurali solo il 10/15% ha avuto la possibilità di studiare, e in quei posti non c’è stata nessuna conquista sociale così che le donne continuano a vivere come nel medioevo. Di scuole neanche a parlarne, al più vengono organizzate delle classi all’interno delle moschee, Nelle grandi città si vedono delle donne che rappresentano le altre, ma sono spesso delle privilegiate che hanno avuto famiglie che le hanno appoggiate e non le hanno sottomesse, come invece è molto diffuso nella società afghana. In venti anni ci sono state pochissime conquiste sociali per loro e solo nelle grandi città, dove le donne possono ricevere un’istruzione,

Il 75% di loro vive in zone rurali, con tutte le limitazioni che questo comporta.

Cosa succederà?

In Grecia e in Turchia si stanno alzando muri per impedire l’arrivo di altri profughi.

In Europa si promettono altri flussi di euro ai Paesi che accoglieranno.

Intanto le operazioni di evacuazione sono iniziate con difficoltà infinite

Ma non si poteva iniziare prima a far evacuare le persone e poi annunciare l‘abbandono dell’Afghanistan”? Dov’è Kamala Harris?

In Italia infiniti appelli e petizioni per chiedere al Governo di attivare subito corridoi umanitari internazionali per mettere in salvo le donne afghane e i loro bambini/e, così come i bambini degli orfanotrofi di tutte le città cadute in mano ai talebani.

Evidentemente canali umanitari si faranno, con i progetti già attivi nei Comuni del SAI , molti enti locali si stanno già attivando. Molti si attiveranno.

Noi donne cosa intendiamo fare?

La nostra proposta “ Caschi rosa” è un progetto concreto di accoglienza diffusa con la collaborazione attiva dei Comuni, delle Istituzioni, delle associazioni, delle famiglie.

Il progetto prevede di accogliere giovani donne che devono completare il loro percorso di studio, di formazione, di istruzione universitaria.

Solo creando nuove risorse femminili saremo in grado di fornire soluzioni ad un Paese come l’Afghanistan martoriato da 30 anni di guerre, farcite di dolore, morte, sofferenze, illusioni.

Molti sono i Comuni delle “Città delle Donne “che stanno mandando la loro manifestazione di interesse e molte le Università che stanno dando la loro disponibilità.

Tantissime le famiglie e le associazioni femminili che insieme stanno lavorando per raggiungere l’obiettivo.

L’aver cura, per noi donne, significa prenderci a cuore il mondo del quotidiano dell’altro/a per migliorare il più possibile la qualità della sua vita.

L’aver cura, per noi donne,  risponde al bisogno di favorire la realizzazione delle potenzialità dell’altro/a .

“Una cura teorica, a-storica e meta-categoriale non esiste: la cura è la pratica che si sporca le mani col fango nel mondo”.