Adesso un piano integrato per l’occupazione femminile #oraomaipiù per le quattro Italie: il Nord e il Sud, le grandi città e le aree interne

Ne parliamo il 22 aprile alle ore 18 #statigeneralidonne on line

Isa Maggi

L’Istat ha pubblicato i numeri relativi all’occupazione degli ultimi 12 mesi. I dati sono molto allarmanti: a febbraio 2021 gli occupati erano 22.197.000, cioè 945.000 in meno rispetto a febbraio 2020. La diminuzione coinvolge uomini e donne, dipendenti (590mila) e autonomi (355mila) e tutte le classi d’età. Il tasso di occupazione scende, in un anno, di 2,2 punti percentuali.

Il tasso di disoccupazione a febbraio diminuisce di 0,1 punti rispetto a gennaio e aumenta di 0,5 punti su febbraio 2020.

Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni a febbraio era del 31,6% con un calo di 1,2 punti su gennaio e un aumento di 2,6 punti su febbraio 2020 prima dell’inizio delle restrizioni alle attività per prevenire il contagio da Covid.

La situazione per la componente femminile è ulteriormente drammatica.

Sette posti su dieci persi nel 2020 erano di donne in Italia, dove già lavora meno di una donna su due. Le donne, poi, in media guadagnano il 15% in meno dei loro colleghi. Sono anche quelle su cui ricade il 76,2% dei lavori di cura: 5,05 ore al giorno contro un’ora e 48 degli uomini. E anche per questo le donne faticano a far carriera: fra le manager sono il 25% e solo il 5% fra le Ceo. Certo nei consigli di amministrazione sono oltre il 36%, fra i livelli più alti in Europa, ma solo grazie al «farisaico rispetto delle quote rosa». Se ci spostiamo al mondo accademico, però, le percentuali tornano a scendere: solo il 23% dei professori ordinari è donna e gli atenei italiani contano solo 7 rettrici su 84. In politica in 75 anni le donne al governo sono state appena il 6,5% e il nuovo esecutivo non è stato il punto di svolta che ci si attendeva, con 8 ministre su 23 (35%).

Ma questa situazione interessa solo noi donne? No, il problema è di tutti, uomini compresi.

Banca d’Italia già nel 2013 indicava che se il tasso di occupazione femminile fosse aumentato dall’allora 46% al 60%, il Pil italiano sarebbe cresciuto del 7%.

Anche la Bocconi e la Consob avevano sottolineato una correlazione fra un numero congruo di donne nei board e il miglioramento di indicatori di redditività delle aziende.Ed anche la Lagarde quando era ancora al FMI e la stessa Ocse avevano visto la correlazione fra aumento dell’occupazione femminile e aumento del PIL.

Sembrerebbe che la politica e il governo ne siano ben consapevoli, come ha dimostrato il discorso del premier Draghi alle Camere: «Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro».

La parità di genere è indicata con chiarezza fra le priorità e gli ambiti di intervento sono stati individuati.

Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

Il Recovery Fund sarà investito in transizione ecologica e digitale.

Le donne rischiano di essere tagliate fuori dai maggiori investimenti che arriveranno e quindi parte delle risorse dovrebbero essere impiegate per colmare il divario di genere e aprire nuove opportunità anche alle donne con investimenti che partano dai primi livelli dell’istruzione scolastica.

Chiediamo a gran voce un Piano Nazionale per l’occupazione femminile, un sistema integrato di strumenti e di azioni da mettere in campo subito, utilizzando i fondi della Next Generation Eu.

Non basteranno più le misure di decontribuzione e gli sgravi fiscali o il semplice rafforzamento delle infrastrutture sociali, a cominciare dagli asili nido. Le culle sono vuote e per superare l’inverno della denatalità occorre creare lavoro, lavoro dignitoso e ben remunerato. Occorre un Piano nazionale di interventi che coinvolga il lavoro, la famiglia, l’istruzione, la sanità, la Pubblica amministrazione.

Ne parliamo il 22 aprile alle ore 18 #statigeneralidonne on line.