Dalla Convenzione di Istanbul al Codice Rosso

manifesto sulla violenza di genere

Abstract

La violenza di genere è una violazione dei diritti umani tra le più diffuse al mondo: lo dichiara la Convenzione di Istanbul, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2011 e recepita dall’Italia nel 2013, che condanna «ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica» e riconosce come il raggiungimento dell’uguaglianza sia un elemento chiave per prevenire la violenza. La violenza di genere non è un problema delle donne e non solo alle donne spetta occuparsene, discuterne, trovare soluzioni. Un paese minato da una continua e persistente violazione dei diritti umani non può considerarsi “civile”. Impegno comune deve essere eliminare ogni radice culturale fonte di disparità, stereotipi e pregiudizi che, direttamente e indirettamente, producono un’asimmetria di genere nel godimento dei diritti reali. La Convenzione di Istanbul, insiste sulla prevenzione e sull’educazione. Chiarisce quanto l’elemento culturale sia fondamentale e assegna all’informazione un ruolo specifico richiamandola alle proprie responsabilità (art.17).

“È importante che i leader politici parlino di questo problema, che lo interpretino come un

problema dell’intera società. Dobbiamo aumentare la consapevolezza e affinare lo sguardo su questo problema. In primis, per farlo, la Convenzione deve essere viva, non solo un documento “.

Cos’è la violenza contro le donne?

• violenza domestica (violenza fisica, sessuale, psicologica o economica)

• stalking

• violenza sessuale, incluso lo stupro

• molestie sessuali

• matrimonio forzato

• mutilazione genitale femminile

. sterilizzazione forzata

• aborto forzato

La situazione

Un femminicidio ogni 3 giorni. Una donna su 3 che nel corso della vita, secondo l’ISTAT, ha subito una qualche forma di violenza: fisica, psicologica, economica, sessuale, stalking, molestie. E, considerando solo i centri anti violenza della rete D.i.Re, oltre 20.000 donne che ogni anno cercano sostegno per uscire dalla violenza e ricostruire la propria vita, mentre i centri anti violenza denunciano crescenti difficoltà, mancanza di fondi, un incremento della rivittimizzazione secondaria nei tribunali, dove la violenza subita torna a essere colpa della donna che l’ha denunciata.

La violenza sulle donne è fenomeno strutturale e diffuso, non occasionale né privato, di grande pericolosità sociale.

Il “femminicidio” è la violenza di genere più estrema e in Italia è l’unico crimine in aumento del 10%, negli ultimi 15 anni, rispetto agli altri omicidi.

Secondo i dati ISTAT e del Ministero degli Interni, sono state 149 le donne vittime di omicidi volontari nel 2016 in Italia; 3 su 4 di questi delitti sono stati commessi nell’ambito familiare: 59 donne sono state uccise dal partner, 17 da un ex partner e altre 33 da un parente.

Nel 2017 i “femminicidi” sono stati 113
Nel 2018 sono 107 le donne uccise.
Sono oltre 2.000 gli orfani da femminicidio, 67 nel 2017, ulteriori 25 nell’anno in corso. Molti di loro testimoni dell’uccisione della mamma.

Ma la violenza contro le donne è un fenomeno ben più diffuso e di difficile misurazione, poiché si sviluppa soprattutto in ambienti familiari, in situazione di solitudine, con impatto devastante sulla salute psico-fisica della donna. Le donne soggette a violenze in ambito familiare non denunciano, hanno paura di reazioni da parte dell’uomo e non si fidano su un intervento immediato ed efficace delle forze dell’ordine e della giustizia in generale.

La fotografia di un’Italia che è brava ad adottare nuove leggi – ha ratificato nel 2013 la Convenzione di Istanbul ma non la applica, è contenuta nel rapporto che un nutrito gruppo di associazioni della società civile ed esperte individuali ha redatto per il GREVIO, il Gruppo di esperte del Consiglio d’Europa sulla violenza contro le donne, incaricato di monitorare l’applicazione della Convenzione di Istanbul.

I dati evidenziano che ,rispetto al passato e grazie all’azione di sensibilizzazione, le donne, soprattutto le più giovani, riescono a prevenire e a contrastare meglio la violenza. Le ultime rilevazioni Istat rivelano che le donne “fermano prima la violenza perché oggi hanno più strumenti per riconoscerla mentre restano stabili le violenze più gravi: stupri e uccisioni di donne”.

E’ aumentata la coscienza femminile: sono di più le donne che hanno subito violenza e la riconoscono come un reato; sono di più le donne che riescono a prevenirla o ad interrompere la relazione prima che la spirale si stringa troppo attorno a loro. Le donne ne parlano di più con gli altri, si attivano, aumentano le denunce, anche se sono sempre una piccola percentuale del totale, si recano di più presso i centri anti violenza e di pronto soccorso. Ma i dati dicono anche che aumenta la gravità della violenza subita e in particolare la quota di donne che riferiscono di aver temuto per la propria vita.

Il Rapporto ombra”, la cui redazione è stata coordinata da D.i.Re, Donne in rete contro la violenza è stato consegnato lo scorso ottobre alla segreteria GREVIO al Consiglio d’ Europa, è un importante documento di consultazione che evidenzia le criticità.

La Conferenza di Bucarest del 4-6 giugno 2019

Si è svolta il 4-6 giugno scorso una conferenza ad alto livello, a Bucarest, un evento politico per istituzioni e politici europei, organizzata nel contesto della Presidenza rumena del Consiglio dell’Unione europea, per fare il punto sull’applicazione in Europa della Convenzione di Istanbul, denominata “Verso un’Europa libera dalla violenza contro donne e ragazze – la Convenzione di Istanbul che crea un nuovo orizzonte e un cambio di paradigma per tutti gli stakeholder”.

“La violenza è dannosa. Danneggia e causa ferite “.Queste sono le parole di Purna Sen, una delle principali voci nella lotta contro la violenza sulle donne, nel suo ruolo di coordinatrice esecutiva e portavoce sull’affrontare le molestie sessuali e altre forme di discriminazione nelle donne delle Nazioni Unite. Purna Sen ha una responsabilità speciale per i follow up sulle molestie sessuali all’indomani della campagna #metoo.

Sen spiega come si può manifestare la violenza.

“La violenza fisica, sessuale ed emotiva può abbracciare l’intera gamma di comportamenti: da

schiaffeggiare e tirare i capelli, picchiare e stuprare. ”

Anche l’impatto della violenza è molteplice, ma secondo Sen tutti i tipi di violenza hanno la stessa origine: “Togliere il controllo delle donne sul loro corpo e il loro potere di decidere sulla propria vita”.

La violenza contro le donne ha un impatto sulla società nel suo complesso, è un elemento strutturale della disuguaglianza tra uomini e donne, che provoca danni enormi.

“Le molestie sessuali sono un sottoprodotto della disuguaglianza di genere perché il potere è distribuito in modo ineguale tra uomini e donne. Tende ad essere più nelle mani degli uomini che delle donne e quel potere può spesso essere esercitato attraverso le espressioni sessuali che tendono ad essere di genere ”

“L’impatto della violenza, in particolare contro le donne e ragazze, è che limita le loro capacità di impegnarsi nel mondo che li circonda “, spiega Purna Sen.

Il vincolo delle attività delle donne ha delle conseguenze, poiché costituiscono metà di quelle della

popolazione.

“Se non hai donne in politica, ottieni le politiche e le leggi fatte dalle esperienze

e dalle menti di uomini che non capiscono cosa è successo nella vita delle donne, ” Purna Sen

dice.

La conferenza si è conclusa con la determinazione di “ tolleranza zero per la violenza contro le donne”.

Elisabeth Walaas, la rappresentante permanente della Norvegia al Consiglio d’Europa e presidente dell’ Ufficio di Presidenza del Consiglio nella Convenzione europea sulla prevenzione e la lotta

contro la violenza donne, sostiene l’analisi di Sen, da una prospettiva europea.

Nel suo ruolo di presidente dell’ufficio, Walaas lavora per promuovere la Convenzione di Istanbul in

Europa. La Convenzione è stata celebrata come lo strumento migliore per combattere la violenza contro le donne.

“La violenza contro le donne è un problema sociale in tutto Paesi europei “, dice.

“Deve essere risolto, e questo può essere fatto solo sviluppando politiche globali. Questo deve coinvolgere tolleranza zero per la violenza e il perseguimento degli aggressori “.

“A causa della storia e della cultura, la violenza domestica è stata definita come una questione privata, come qualcosa che accade nel regno della vita domestica, e non qualcosa di cui preoccuparsi nelle società. Tuttavia, la violenza contro le donne arreca danni a lungo termine – quindi lo è chiaramente un problema pubblico “, dice Walaas.

La violenza domestica non è solo una questione femminile.

“Sappiamo che i bambini, ma anche i ragazzi e gli uomini giovani soffrono di violenza. Questo è

importante, anche se la maggior parte delle vittime sono donne. Questo è il motivo per cui è importante applicare una prospettiva olistica “.

Walaas ha indicato i tre pilastri fondamentali:

– Il primo è la prevenzione che ha alla base un cambiamento di atteggiamenti, ruoli di genere e stereotipi, sensibilizzando ai diversi tipi di violenza. La prevenzione deve essere implementata all’interno del sistema educativo, tra i professionisti che lavorano con le vittime, nelle

ONG e settori privati, nei media e oltre. Prevenzione deve essere la parola d’ordine ed è indispensabile mettere a punto un’agenda di incontri e pensare a misure strutturali che coinvolgano le Scuole,le Università e le Amministrazioni locali con il supporto di tutte quelle associazioni che da anni operano sui territori.

– In secondo luogo, devono essere attivate diverse azioni per perseguire il maltrattante

per affermare la tolleranza zero verso la violenza : criminalizzazione e punizione appropriata, sulla base di cultura, costume o religione. Le forze dell’ordine devono rispondere immediatamente alle richieste di assistenza e le vittime devono essere protette durante le indagini e i procedimenti giudiziari.

– In terzo luogo, la protezione come fattore chiave. Non solo che le vittime dovrebbero avere accesso a un rifugio i primi giorni, ma devono essere seguite a lungo termine.

Occorre creare servizi di supporto specializzati che forniscono servizi medici, psicologici e legali alle vittime e ai loro bambini. Tutta la protezione dovrebbe essere effettuata

con un approccio centrato sulla vittima.

Tutte le misure devono formare parte di un approccio globale e coordinato attraverso una serie di politiche, attuate a tutti i livelli di governo e da tutte le agenzie competenti e le istituzioni.

Walaas descrive la convenzione come innovativa nella sua impostazione, ma anche radicale.

“È una misura radicale e ampia, in quanto richiede agli Stati di garantire un approccio globale di

cooperazione con tutte le parti interessate. Questo arriva fino alle località dove vivono le persone,

e coinvolge gli asili, il sistema giudiziario, la società civile, il settore del volontariato e le

famiglie “.

L’obiettivo della Convenzione di Istanbul è che gli stati vadano oltre le parole e agiscano complessivamente sulla violenza.

Alla conferenza di Bucarest, Walaas si è rivolta ai leader politici e alle parti interessate.

“È importante che i leader politici parlino di questo problema, che lo interpretino come un

problema dell’intera società. Dobbiamo aumentare la consapevolezza e affinare lo sguardo su questo problema. In primis, per farlo, la Convenzione deve essere viva, non solo un documento “.

Il codice rosso

Il 28 novembre 2018 è stato approvato il Codice Rosso dal Consiglio dei Ministri.

E’ stato previsto un iter più veloce e corsia preferenziale per le donne che denunciano la violenza.
Si tratta di una modifica del codice di procedura penale in materia di violenza domestica e di genere. Una vera e propria corsia preferenziale per aiutare le donne vittime di violenza.
Il provvedimento introduce un Codice Rosso per i reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, in modo che le denunce vengano trattate con la massima urgenza e da personale qualificato.
Con la nuova legge ci saranno procedimenti più snelli, senza fasi di stallo, che talvolta possono rivelarsi fatali per chi subisce le violenze. Per questo la polizia giudiziaria che riceve le denunce dovrà comunicarle immediatamente al Pm, senza dover fare una valutazione sull’urgenza e la vittima dovrà essere sentita dai magistrati nei tre giorni successivi. Inoltre, se le indagini vengono delegate alla Polizia giudiziaria, questa dovrà darne la massima priorità.
Le forze di polizia che trattano questo tipo di procedimenti saranno formate nello specifico, in modo che siano specializzate nella prevenzione e che abbiano una preparazione specifica nel dialogare con le vittime e nel gestire le loro situazioni.

I temi essenziali:

– Obbligo di riferire la notizia di reato

Il d.d.l. integra l’art. 347 c.p.p. prevedendo l’obbligo per la polizia giudiziaria di comunicare al PM le notizie di reato relative anche ai delitti di maltrattamento, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate commessi in contesti familiari o nell’ambito di relazioni di convivenza.

Viene poi introdotta una presunzione di urgenza per queste tipologie di reato per cui la polizia giudiziaria dovrà comunicare il fatto al PM “senza ritardo”. Lo scopo è quello di avviare tempestivamente la procedura, potendo adottare provvedimenti “protettivi o di non avvicinamento” prima dell’irreparabile.

– Assunzione di informazioni

Modificando l’art. 362 del codice di procedura penale,viene garantito il diritto della vittima di essere ascoltata dal P.M. entro 3 giorni dalla iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela della riservatezza, anche nell’interesse della persona offesa.

Viene, inoltre, integrato l’art. 370 c.p.p., obbligando la polizia giudiziaria a dare priorità allo svolgimento delle indagini delegate dal P.M., agendo senza ritardo e senza valutazioni discrezionali sull’urgenza, qualora si proceda per tutta una serie di reati, tra cui maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale e atti persecutori.

– Corsi di formazione per Polizia e Carabinieri

Per il trattamento di questi fenomeni, inoltre, il testo stabilisce una formazione specifica obbligatoria per gli operatori di Polizia, Arma di Carabinieri e Corpo di Polizia Penitenziaria. Dovranno all’uopo essere attivati specifici corsi presso i rispettivi istituti di formazione, assicurandone l’omogeneità, rivolti al personale che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria.

I punti chiave del metodo Scotland

Il caso di Londra e di Barcellona, la sperimentazione in Trentino Alto Adige

1 – Ruolo degli I.D.V.A. Independent Domestic Violence Advisors (consulenti indipendenti specializzati in violenza domestica)

Dalle Marac dipendono i consulenti indipendenti specializzati in violenza domestica (Independent Domestic Violence Advisor) professionisti preparati a seguire la vittima e la famiglia in tutte le fasi post denuncia: disbrigo questioni burocratiche, accompagnamento durante le udienze in Tribunale, sistemazione nel nuovo appartamento, incontri con la scuola…

Le statistiche dicono che nel 50% dei casi la donna ritorna dal proprio aggressore. I motivi sono vari, oltre alla dipendenza psicologica, influiscono motivi pratici: la donna maltrattata spesso non lavora, non ha un’autonomia economica, ha paura di non farcela, probabilmente ha nascosto l’abuso a tutti, quindi è isolata e non riesce a chiedere un aiuto immediato. Dalla denuncia inizia una fase dove la presenza dell’IDVA potrà fare la differenza

2 – Istituzione di Tribunali specializzati

3- Istituzione di Multi-Agency Risk Assessment Conference (MARAC)

che è un ente proprio con il compito di valutare il grado di rischio della donna, presieduto da un Organo di Polizia, a cui partecipano le varie Agenzie: sociale, lavoro, welfare, sanità, istruzione, istituto per le case popolari, case di accoglienza per donne maltrattate.

Durante gli incontri, di norma settimanali, vengono definiti i livelli di rischio dei casi, a cui corrispondono interventi mirati .

Obiettivo

– Esame congiunto dei casi che presentano livelli di rischio per la donna

– Assegnazione di un punteggio, da altissimo (pericolo di vita immediato) a molto alto, medio

In base alla valutazione si procede, un pò come al pronto soccorso: un codice rosso passa avanti a chi può aspettare. Tante volte anche qualche ora può essere fondamentale per intervenire e salvare una vittima

– Questo sistema evita riunioni interminabili, perché tutte le agenzie coinvolte (che hanno ricevuto il fascicolo per l’esame preventivo) sono presenti, quindi le decisioni sono prese con effetto immediato così come le misure da adottare

– In caso di pericolo, la donna potrà lasciare l’abitazione, insieme ai propri figli. Verrà sistemata in un alloggio pubblico, oppure se non è disponibile immediatamente, in una casa privata

4- Valutazione multidisciplinare della potenzialità di rischio per le vittime (ad alto rischio)

5 – Offerta di servizi continuativi, a sostegno delle vittime e dei loro figli

6- Terapia e monitoraggio degli aggressori e autori di maltrattamenti, durante e dopo l’esecuzione della pena

7 – Risultati raggiunti

– La percentuale di aggressori sottoposti a procedimento penale è cresciuta fino al 73 %

– I rei confessi sono aumentati dal 21 al 61 %

– Le ritrattazioni delle vittime sono diminuite dal 53 al 17 %

– Le condanne sono passate dall’8 al 32 %

– I casi archiviati sono passati dal 32 al 19 %

– Assoluzioni per insufficienza di prove diminuite dal 46 al 4 %

Le nostre richieste al Governo

Noi donne degli Stati Generali chiediamo che il Governo metta subito in atto politiche attive, coerenti e coordinate per far fronte al drammatico problema della violenza maschile sulle donne, così come richiesto dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dal Governo italiano, richiamata nel Piano nazionale per contrastare la violenza. I fondi messi a disposizione dal Dipartimento Pari Opportunità sono assolutamente necessari per poter far sopravvivere i Centri antiviolenza ma crediamo che si arrivato il momento di non mettere più a bando le misure di contrasto verso la violenza. Le misure devono finalmente entrare a far parte delle misure strutturali.
Ma a volte i grandi protocolli rischiano di non tener conto delle realtà specifiche delle donne che subiscono violenze ed i tempi per attuare azioni necessarie sono troppo lunghi. Occorre rivedere il sistema di governance del sistema regionale vs la violenza.

La reazione delle Istituzioni deve essere forte a tutti i livelli, dal governo alle amministrazioni regionali e locali, e deve coinvolgere anche la pubblica opinione e il sistema delle imprese utilizzando modalità innovative che in altri contesti europei hanno ottenuto risultati soddisfacenti come a Londra e a Barcellona.

Dobbiamo sentirci tutte e tutti obbligati ad agire, gli uomini e non solo le donne.

Un Paese democratico non può tollerare che milioni di cittadine siano vittima di violenza, sia essa psicologica, economica, fisica e/o sessuale.

Un Paese democratico deve reagire subito e con grande forza, applicare le leggi che ha e dotarsi di sempre rinnovati strumenti.
Le donne sono uccise nella completa e assordante solitudine, nell’indifferenza generale perché la violenza contro le donne è considerata ancora oggi un fatto privato, la solidarietà umana non viene più coltivata, mentre si alimentano da parte di alcuni media morbosità e paura.

Si deve creare un ambiente sociale che faciliti e promuova relazioni personali paritarie e non violente. I ragazzi e le ragazze devono diventare adulti ed adulte capaci di gestire le emozioni e le relazioni, per risolvere i conflitti e riconoscere le situazioni a rischio nella consapevolezza che se ne può uscire.
Le violenze sulle donne si eliminano solo con la prevenzione primaria, combattendo le cause: siamo per una vera rivoluzione culturale nell’ambito di una rinnovata e decisa attenzione alla cittadinanza attiva e responsabile.
I giovani come gli adulti, donne e uomini devono:

– poter vivere nel rispetto reciproco,

-avere parità di opportunità, autodeterminazione e libertà e il dovere al rispetto della libertà altrui e delle leggi,

– conoscere cosa è la violenza in ogni sua forma e come prevenirla,

– conoscere e prevenire le discriminazioni di genere contro qualsiasi persona e a non farsi condizionare dai mass-media e dalle pubblicità sessiste e maschiliste.

Occorre un intervento integrato che attivi:

  • Un piano di finanziamenti strutturali per incrementare, quantitativamente e qualitativamente, strumenti e luoghi essenziali per l’uscita dalla violenza : centri anti violenza e case rifugio per le donne situazioni di emergenza.
  • Una reale e fattiva presa in carico delle vittime basata su un approccio integrato e focalizzato sulla persona, in un contesto di sistemi di governance territoriale che coinvolga e attivi le reti locali. Indispensabile la rilevazione integrata e omogenea dei dati sulla violenza in tutte le sue espressioni, su tutto il territorio nazionale da parte di tutti i diversi servizi coinvolti, dalle Forze dell'ordine, ai pronto soccorso, ai servizi sociosanitari, alla scuola.
  • L’attivazione di metodologie standard internazionali per una messa in rete dei dati quantitativi e qualitativi raccolti dalle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, dal numero di pubblica utilità, alla rete di tutti i centri anti violenza, le case rifugio, gli sportelli e le tante realtà che si occupano del fenomeno.
  • Una riforma della giustizia sui tempi di intervento dopo la denuncia di atti di violenzache minano l’incolumità della sicurezza della donna: priorità assoluta. La polizia giudiziaria dovrà comunicare immediatamente la notizie di reato al pm di turno, il quale deve intervenire immediatamente, sentendo anche la vittima.
  • L’attivazione strutturale di un modello di insegnamento, rivolto alle scuole superiori di secondo grado, di educazione all’effettività, educazione al rispetto e alla parità di genere, educazione alle differenze. La scuola ha un ruolo fondamentale nell’informazione su queste tematiche, come sottolinea l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel documento recepito, in parte, nella nostra legislatura (art.1, comma 16, legge 107/2015) e nelle successive linee guida emanate dal MIUR nel Piano Nazionale per l’Educazione al Rispetto. Una educazione all’affettività da realizzare, oltre che nelle scuole, anche attraverso l’uso consapevole della rete.
  • Un intervento adeguato e integrato nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche che la violenza maschile produce sulla salute della donna; visita medica tempestiva nel pronto soccorso nei casi con codice rosso e nello spazio temporale di Massimo 20 minuti negli altri casi, per ridurre al minimo il rischio di ripensamenti o allontanamenti volontari.
  • Rilancio dei consultori, come luogo di accoglienza, consulenza, aiuto, e per un primo intervento e avvio della donna verso il percorso necessario.

Il manifesto sulla violenza maschile di genere.

La Carta di Pavia

E’ un protocollo d’intesa per promuovere una sensibilizzazione sulla violenza maschile di genere tra diversi soggetti istituzionali, enti, scuole, università ed associazioni.

Ha come finalità quella di promuovere una lettura ed una analisi del fenomeno della violenza sul territorio nazionale e di suggerire ai decisori azioni e buone pratiche recepite e realizzate in contesti territoriali diversi.

Il manifesto sulla violenza maschile di genere, La Carta di Pavia ha come riferimento la Convenzione di Istanbul, firmata l’11 maggio 2011 dal Consiglio d’Europa ed entrata in vigore in Italia il 19 giugno 2013.

La Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro normativo completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza e a contenere una definizione di genere, senza alcuna forma di discriminazione.

Ancora oggi le donne che denunciano si sentono sole ed impotenti difronte ad una serie di problemi ed incombenze.

La violenza di genere è un atto palesemente discriminatorio che comprime o nega il godimento dei diritti umani delle donne, dunque rappresenta in questo senso una lesione importante.

Il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de iure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne, la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione.

La natura strutturale della violenza contro le donne in quanto basata sul genere e in quanto meccanismo sociale cruciale per mezzo del quale le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.

La violenza è un dato strutturale, non è un dato emergenziale, e affonda le sue radici nel rapporto impari tra uomini e donne, nella diseguaglianza sociale dei rapporti di potere tra uomini e donne.

L’esperienza ci porta a pensare che la violenza di genere è sì una questione culturale, ma si rende necessario intervenire anche con la legislazione, prevedendo azioni più efficaci nei confronti degli uomini maltrattanti ed in difesa delle donne che decidono di denunciare.

Ecco dunque le linee fondamentali acui la carta di Pavia si ispira.

1) Il primo aspetto è la relazione dichiarata fra l’assenza della parità di genere e il fenomeno della violenza. Questo aspetto è chiaro alla luce di numeri, statistiche e situazioni, ma fatica ad essere percepito come il fondamento.

Tutte le politiche antidiscriminatorie e che contribuiscono al diffondersi della parità fra i sessi servono al tempo stesso come prevenzione e, nel lungo periodo, alla limitazione della violenza maschile di genere.

2) Il secondo aspetto fondamentale e decisivo è la nozione ampia di violenza, che comprende anche quella psicologica ed economica, e, soprattutto, l’attenzione verso la forma di violenza più diffusa: quella domestica.

In Italia, ancor oggi, anche di fronte all’orrendo massacro di donne da parte di uomini legati al contesto familiare e affettivo, si fatica a mettere in luce l’aspetto patologico di alcuni rapporti, rimanendo ancora il timore che non si possa entrare nelle dinamiche della famiglia.

3) Infine la Convenzione mette in evidenza l’importanza del monitoraggio, delle campagne di sensibilizzazione ed anche del finanziamento e della costruzione dei centri anti violenza, con il finanziamento delle case-rifugio.

Tutti i soggetti che condividono gli obiettivi, i principi e i contenuti della Carta di Pavia possono fare domanda di adesione scrivendo all’indirizzo isa.maggi.statigeneralidonne @gmail.com

I piani di applicazione devono agire con il principio della simultaneità senza stabilire gerarchie tra essi.

Prevenzione

Cambiare gli atteggiamenti, i ruoli di genere e gli stereotipi che rendono accettabile la violenza sulle donne. Accertarsi che la cultura le tradizioni e i costumi, la religione o il così detto “onore” non possano giustificare nessun atto di violenza.

Superare la rappresentazione delle donne che vivono una relazione violenta come vittime. E’ molto più efficace incoraggiare le donne a prendere coscienza della loro possibilità di scelta, delle loro capacità e della loro forza.

Formare professionisti/e in grado di assistere le vittime.

Sensibilizzare l’opinione pubblica sulle diverse forme di violenza e sul loro impatto traumatico.

Includere nei programmi di insegnamento a ogni livello di istruzione dei materiali pedagogici sul tema dell’uguaglianza di genere, dell’affettività e contro gli stereotipi di genere per allievi, insegnanti e famiglie.

Acquisire consapevolezza sulle multiple oppressioni che vivono le donne migranti e sulle conseguenti strategie da elaborare nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza.Per le donne migranti deve essere semplificato il meccanismo di riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero.

Cooperare con le Associazioni, ONG, i mass media e il settore privato per sensibilizzare la popolazione.

Protezione

Garantire che le misure adottate pongano un particolare accento sui bisogni e sulla sicurezza delle vittime.

Istituire servizi speciali di protezione per fornire sostegno medico e psicologico e consulenza alle vittime e ai loro figli.

Istituire case rifugio e centri di accoglienza in numero sufficiente e apposite linee telefoniche di assistenza, operative 24 ore su 24.

Prevedere azioni concrete a favore delle vittime di violenza assistita.

Prevedere interventi mirati, per inserire le donne vittime di violenza in progetti lavorativi al fine di rompere l’isolamento, riacquisire stima di se stesse, riconoscere le proprie competenze e abilità, garantirsi una reale indipendenza anche da un punto di vista economico.

Introdurre forme di sostegno al reddito per le donne che subiscono violenza promosse non come modalità di sostentamento per categorie deboli ma come supporto per l’autodeterminazione, alla flessibilità oraria e all’aspettativa per le lavoratrici dipendenti.

Affrontare con le Istituzioni legate al Sistema delle Imprese il tema del sessismo diffuso e delle violenze sul posto di lavoro.

Prevedere una reale de-burocratizzazione del congedo trimestrale INPS, il trasferimento in altra sede lavorativa; il diritto alla sospensione della tassazione per le professioniste autonome.

Affrontare il problema della casa data la difficoltà di stipulare un contratto di affitto a causa dell’assenza di busta paga e garanzie sufficienti e prevedere l’istituzione di un fondo di garanzia che permetta una stipula del contratto facilitato per le donne. Promuovere una campagna di sensibilizzazione per i privati che potrebbero usufruire di incentivi fiscali a seguito della messa a disposizione delle proprietà. Per la definizione delle graduatorie case popolari è necessario prevedere l’acquisizione dei massimi punteggi alle donne che fuoriescono da situazioni di violenza, in seguito alla permanenza in CR, Case famiglia, case di semi autonomia o in seguito alla presa in carico presso CAV.

Perseguire gli autori

Garantire che la violenza sia penalizzata e debitamente punita.

Istituire Sezioni specializzate presso i Tribunali che si debbano occupare di violenza domestica per accelerare i processi e le cause di separazione.

Istituire in ogni città un nucleo di polizia o carabinieri specializzato per questo tipo di reati.

Garantire che le vittime abbiano accesso a misure di protezione speciali nel corso delle indagini e dei procedimenti giudiziari.

Garantire che i servizi delle forze dell’ordine incaricate di far rispettare la legge diano una risposta immediata alle richieste di assistenza e gestiscano in modo adeguato le situazioni pericolose.

Revisione dell’art. 220 del codice di procedura penale:oltre che a professionisti giudiziari specializzati occorre introdurre la possibilità di ricorrere alla scienze complementari (psicologiche, criminologiche, sociali) per tracciare in modo scientifico il profilo dell’autore del reato, la sua storia, la sua evoluzione, le sue finzioni.

Incrementare azioni sugli uomini maltrattanti, rendendo obbligatorio il percorso psicoeducativo rivolto agli uomini che hanno esercitato comportamenti violenti.

Comunicazione

I media hanno un ruolo fondamentale nel dare alle donne, e non solo, una maggiore consapevolezza quando contrastano quella sottocultura che legittima l’oppressione sessista. Nelle fasi della comunicazione la parola “raptus” è sempre stata usata di “comoda utilità” per descrivere un femminicidio, Ma il femminicidio non è la conseguenza di un improvviso e momentaneo impulso violento ma l’esito di un continuum di violenze che durano nel tempo. Così come a uccidere non è la gelosia ma l’atto violento di un oppressore che vuole controllare la partner.

Rileggendo Il Manifesto di Venezia si legge che il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso. “Ogni giornalista è tenuto al “rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Non deve cadere in morbose descrizioni o indulgere in dettagli superflui, violando norme deontologiche e trasformando l’informazione in sensazionalismo. Le giornaliste e i giornalisti firmatari del Manifesto si sono impegnate/i per una informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali, giuridiche. La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità.

Si ritiene quindi prioritario:

1. inserire nella formazione deontologica obbligatoria quella sul linguaggio appropriato anche nei casi di violenza sulle donne e i minori;

2. adottare un comportamento professionale consapevole per evitare stereotipi di genere e assicurare massima attenzione alla terminologia, ai contenuti e alle immagini divulgate;

3. adottare un linguaggio declinato al femminile per i ruoli professionali e le cariche istituzionali ricoperti dalle donne e riconoscerle nella loro dimensione professionale, sociale, culturale;

4. attuare la “par condicio di genere” nei talk show e nei programmi di informazione, ampliando quanto già raccomandato dall’Agcom;

5. utilizzare il termine specifico “femminicidio” per i delitti compiuti sulle donne in quanto donne e superare la vecchia cultura della “sottovalutazione della violenza”: fisica, psicologica, economica, giuridica, culturale;

6. sottrarsi a ogni tipo di strumentalizzazione per evitare che ci siano “violenze di serie A e di serie B” in relazione a chi subisce e a chi esercita la violenza;

7. illuminare tutti i casi di violenza, anche i più trascurati come quelli nei confronti di prostitute e transessuali, utilizzando il corretto linguaggio di genere;

8. mettere in risalto le storie positive di donne che hanno avuto il coraggio di sottrarsi alla violenza e dare la parola anche a chi opera a loro sostegno;

9. evitare ogni forma di sfruttamento a fini “commerciali” (più copie, più clic, maggiori ascolti) della violenza sulle le donne;

10. nel più generale obbligo di un uso corretto e consapevole del linguaggio, evitare: a) espressioni che anche involontariamente risultino irrispettose, denigratorie, lesive o svalutative dell’identità e della dignità femminili; b) termini fuorvianti come “amore” “raptus” “follia” “gelosia” “passione” accostati a crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento; c) l’uso di immagini e segni stereotipati o che riducano la donna a mero richiamo sessuale” o “oggetto del desiderio”; d) di suggerire attenuanti e giustificazioni all’omicida, anche involontariamente, motivando la violenza con “perdita del lavoro”, “difficoltà economiche”, “depressione”, “tradimento” e così via. e) di raccontare il femminicidio sempre dal punto di vista del colpevole, partendo invece da chi subisce la violenza, nel rispetto della sua persona

Quindi non amore e passione ma controllopoterecultura patriarcale sono le chiavi di lettura per una narrazione corretta del femminicidio.

Si ribadisce l’obbligo per gli Stati di promuovere e porre in atto campagne di sensibilizzazione e diffusione di informazioni in materia.

Controllo e monitoraggio

Si ribadisce l’obbligo per gli Stati di monitorare attraverso ricerche e raccolte di dati la situazione della violenza.

15 giugno 2019

Noli me tangere

Università degli Studi di Pavia, Aula Volta

Dalla Convenzione di Istanbul al Codice Rosso

Isa Maggi

Stati Generali delle Donne

Sportello Donna